Un anno dal naufragio di Pylos

Il processo ai 9 di Pylos e la criminalizzazione delle persone migranti in Grecia

FRANCESCA REPPUCCI

*Pubblicato per la prima volta su Melting Pot

Il 14 giugno scorso, il Mediterraneo è stato testimone del naufragio più letale degli ultimi decenni. E’ accaduto nelle acque internazionali SAR (Search and Rescue) della Grecia, quindi competente per le operazioni di ricerca e soccorso. Subito dopo il naufragio nove persone sono state incarcerate con l’accusa di essere entrate illegalmente nel paese, e di essere gli scafisti che hanno conducevano l’imbarcazione e, di conseguenza, i responsabili del naufragio. Dopo 11 mesi in custodia cautelare in carcere, il 21 maggio 2024, la Corte di Kalamata ha assolto i nove imputati da tutte le accuse. Mentre otto persone sono state rilasciate, uno di loro si trova attualmente in detenzione amministrativa, e rischia il rimpatrio.

Ad un anno dalla strage, il processo ai “9 di Pylos”, che ha acquisito una forte visibilità internazionale, ha messo in luce diverse questioni che riguardano l’approccio della Grecia nei confronti delle persone in movimento. Se da un lato la Sentenza può e deve essere vista come un importante precedente legale contro la criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti”, dall’altro, ha fatto emergere l’impunità nei confronti delle autorità greche, le quali, come evidenziato da diverse indagini indipendenti, avrebbero di proposito fatto rovesciare la barca e ritardato i soccorsi.

In questo articolo, che include la preziosa testimonianza di Spyros Galinos, membro della campagna FreePylos9, ripercorriamo gli eventi, dal naufragio alla sentenza del Processo. Concludiamo con una riflessione sul valore politico della sentenza e la criminalizzazione dei cosiddetti “scafisti” in Grecia.

PH: @FreePylos9

Il naufragio

È il 13 giugno 2023. Alle 10:35 del mattino. L’attivista Nawal Soufi twitta: “Sto gestendo l’SOS di un’imbarcazione con 750 persone a bordo, partita dalla Libia e ora in difficoltà. Le persone a bordo rischiano di bere acqua di mare, poiché l’acqua potabile è finita dopo il quarto giorno di navigazione (…)”.

È il primo riferimento pubblico alla nave Adriana, al quinto giorno di navigazione dopo aver lasciato Tobruk, in Libia e in rotta verso l’Italia. 15 ore dopo, tra le 01:46 e le 02:06 del 14 giugno, la barca si capovolge, causando la caduta in mare delle persone sul ponte e infine l’affondamento. Le operazioni di salvataggio iniziano solo alle 02:46, quando la nave di soccorso Aiagaion Pelagos lascia il vicino porto di Gythio.

In quel lasso di tempo di 15 ore, la Guardia Costiera italiana e le autorità di Frontex hanno notificato alla Guardia Costiera greca la presenza di un’imbarcazione in difficoltà nelle loro acque SAR. Alarm Phone ha ricevuto diverse chiamate dai passeggeri e ha allertato la Guarda Costiera. Secondo le testimonianze, questa ha ordinato ad almeno due navi mercantili di avvicinarsi all’Adriana, per fornire cibo, acqua e carburante. Tuttavia, i soccorsi sono intervenuti con un supporto effettivo solo dopo l’affondamento della nave.

Le vittime

Dal naufragio, 104 sono le persone sopravvissute, 80 i corpi identificati. Invece, le persone disperse nel mare sono circa 600, di cui 100 bambini. I 104 sopravvissuti vengono portati nella città di Kalamata. 30 persone finiscono immediatamente in ospedale, e 70 persone vengono “alloggiate” in un vecchio deposito al porto, obbligate a dormire in dei materassi buttati sui pavimenti e, come fossero criminali, controllati costantemente da personale militare armato.

I telefoni vengono requisiti, impedendo loro di essere contattati dai propri affetti. Secondo Alarm Phone, che si è messa a disposizione per assistere i parenti delle vittime nella ricerca dei propri cari, la totale disorganizzazione delle autorità greche nel gestire la tragedia ha impedito ai parenti non solo di vedere le vittime, ma anche di riconoscere i corpi, che sono rimasti quindi senza nome.

Poco dopo la tragedia, il 16 e 17 giugno, molti dei sopravvissuti sono stati trasferiti nel Centro di accoglienza e identificazione (RIC) di Malakasa, fuori Atene. Secondo la legge greca, le persone che si trovano nei RIC non possono lasciare la struttura né ricevere visitatori durante la procedura di identificazione e richiesta di asilo, che dovrebbe durare fino a 25 giorni. In pratica, ciò si traduce in una detenzione di fatto dei richiedenti asilo, nonostante non abbiano commesso alcun reato.

Pur essendo classificati come persone vulnerabili dalla legge greca 1, i sopravvissuti non sono stati indirizzati a strutture adeguate. Invece, nella totale noncuranza della loro esperienza traumatica, sono stati sottoposti a impegnativi colloqui di asilo con procedure accelerate.

Queste procedure non garantiscono tempo sufficiente per la preparazione, l’assistenza legale o un adeguato supporto psicosociale. Ai sopravvissuti è stato chiesto di descrivere dettagliatamente le ragioni della fuga dai loro Paesi in colloqui che non soddisfano le garanzie procedurali di base per le persone vulnerabili. Queste interviste sono state condotte nei container del RIC di Malakasa tramite telefoni cellulari, senza la presenza fisica degli operatori e degli interpreti del Servizio Asilo e senza registrazione audio, come richiesto dalla Legge.

PH: Open assembly against pushbacks & border

Il processo ai “9 di Pylos”

Durante la permanenza a Kalamata, prima ancora di ottenere assistenza legale e psicologica, i sopravvissuti sono stati sottoposti a interrogatori da parte delle autorità greche. Sulla base delle testimonianze di alcuni sopravvissuti, nove di loro, tutti di nazionalità egiziana, sono stati arrestati e identificati come responsabili del naufragio.

Nonostante molti dei sopravvissuti avessero confermato che nessuna delle persone pagate per il viaggio si trovasse a bordo, i nove egiziani sono stati accusati perché identificati come coloro che hanno assunto ruoli di maggiore responsabilità a bordo della nave, ad esempio distribuendo acqua o cercando di controllare la folla per stabilizzare la nave mentre si inclinava. Per questo motivo, i 9 di Pylos sono stati arrestati e successivamente inviati in custodia cautelare, con l’accusa di contrabbando e ingresso illegale, rischiando una condanna a diversi ergastoli.

Dopo undici mesi di detenzione preventiva, il 21 maggio di quest’anno si è svolto il processo presso il Tribunale di Kalamata, che ha assolto i nove imputati accusati dallo Stato greco di contrabbando e ingresso illegale, dichiarandosi incompetente a giudicare le accuse di appartenenza a un’organizzazione criminale e di aver causato il naufragio.

Il verdetto si basa sul fatto che i presunti reati commessi dai Pylos 9 sono avvenuti in acque internazionali, al di fuori del territorio e della giurisdizione greca. Il tribunale ha inoltre ritirato le accuse contro di loro dopo aver riconosciuto che i passeggeri della Adriana non hanno mai avuto l’intenzione di entrare in Grecia, ma piuttosto di dirigersi verso l’Italia.

Secondo Spyros Galinos, che Melting Pot ha intervistato in qualità di membro della campagna FreePylos9, che ha seguito da vicino gli sviluppi giudiziari sin dall’indomani della tragedia, fornendo supporto legale ai nove imputati e mobilitando la società civile e tenendo informati sui fatti l’opinione pubblica, i 9 di Pylos avrebbero dovuto essere rilasciati dopo l’assoluzione dalle accuse. Tuttavia, il capo delle forze di polizia locali, che fa capo al Ministero greco per la Protezione dei Cittadini, ha convalidato la detenzione dei nove imputati fino al completamento delle rispettive procedure di richiesta asilo.

Questa decisione è in contrasto con la prassi comune, poiché la legge greca prevede che i richiedenti asilo in Grecia abbiano il diritto di rimanere legalmente nel Paese durante il processo di asilo e di accedere alle strutture di accoglienza. La polizia ha giustificato la detenzione suggerendo il rischio che gli imputati potessero fuggire dal Paese. Tuttavia, poiché le accuse erano state ritirate, non c’erano motivi per sospettare che potessero fuggire. Secondo Spyros, questa decisione è sembrata arbitraria e un sospetto tentativo di “vendetta” contro l’esito del processo, percepito come una “vittoria per il movimento“, piuttosto che una decisione legittima.

PH: Iasonas Apostolopoulos

Dopo il processo, otto degli imputati sono stati rinchiusi nel carcere di Nauplia, nel Peloponneso, e successivamente portati nel centro di detenzione preventiva di Corinto. I loro avvocati hanno presentato un’obiezione contro la decisione di detenzione del tribunale amministrativo di Corinto. L’obiezione è stata infine accolta, portando al loro recente rilascio.

Attualmente si trovano ad Atene in attesa che venga esaminata la loro richiesta di asilo. Uno degli imputati, un diciannovenne, è stato invece portato nel carcere minorile di Avlona. Al momento del processo, aveva già presentato la richiesta di asilo. Tuttavia, a causa della sua giovane età, la sua richiesta di asilo è stata esaminata più rapidamente delle altre ed è stata respinta sia in prima che in seconda istanza, con conseguente rigetto definitivo. Dopo aver ricevuto il decreto di espulsione, è stato prima trasferito dal carcere di Avlona al centro di detenzione per il rimpatrio di Petrou Ralli e, recentemente è stato trasferito nuovamente al centro di Drama, dove il suo caso sarà seguito da un altro avvocato in loco.

C’è molta incertezza sull’esito delle richieste di asilo dei 9 di Pylos. L’Egitto è considerato un Paese di origine sicuro dalla Grecia, il che significa che è improbabile che i cittadini egiziani ricevano un qualche tipo di protezione internazionale. Inoltre, fino al 2019, le vittime di naufragi erano identificate come individui vulnerabili e avevano diritto a richiedere la protezione umanitaria. Tuttavia, il sistema di asilo greco ha interrotto questa pratica dopo il 2019. Di conseguenza, è improbabile che i 9 di Pylos ricevano protezione in quanto vittime di un naufragio, anche se sono ancora considerati individui vulnerabili dalla legge greca.

Le responsabilità della Guardia Costiera greca

Se da un lato il Tribunale di Kalamata ha ritirato le accuse contro la Pylos 9, dall’altro si è dichiarato non competente a indagare sul caso, in quanto avvenuto in acque internazionali. Così facendo, ha chiuso il caso senza indagare sulle responsabilità della Guardia Costiera ellenica nel causare il naufragio.

The Guardian 2, l’unità investigativa greca Solomon 3 e l’ONG tedesca Forensis 4 hanno invece condotto approfondite indagini indipendenti circa le responsabilità della Guardia Costiera, raccogliendo le testimonianze dei sopravvissuti e ricostruendo modelli 3D della nave e mappe interattive che ripercorrevano il percorso dell’Adriana.

Le indagini hanno sollevato molte perplessità sui tempi e sull’esecuzione delle successive operazioni di salvataggio. Non solo la Guardia Costiera non sarebbe intervenuta, ma i sopravvissuti hanno riferito che siano stati proprio loro a causare attivamente il rovesciamento della nave, fissando una corda al peschereccio e tirandolo. Al contrario, la Guardia Costiera ha dichiarato che la motovedetta aveva usato una corda prima per avvicinarsi al peschereccio per valutare la situazione, ma le persone a bordo del peschereccio hanno gettato la corda indietro e hanno continuato il loro viaggio.

L’indagine di Forensis suggerisce che la Guardia Costiera sia responsabile del naufragio. Secondo l’indagine, oltre a rimorchiare l’imbarcazione con la corda, la Guardia Costiera avrebbe suggerito alle persone a bordo di proseguire il viaggio verso l’Italia, lontano dalla zona SAR greca, nonostante fossero in evidente distress. Infine, la guardia costiera ha omesso il soccorso dopo che l’imbarcazione si è ribaltata in modo tale da creare onde, che a loro volta hanno reso più difficile la sopravvivenza in mare aperto, lasciando i sopravvissuti a cavarsela da soli in mare per un periodo di 20-30 minuti senza un motivo apparente.

Non hanno attivato le telecamere dell’imbarcazione inviata sul posto. Questo è stato visto da Forensis come un tentativo di occultare le evidenze di cosa è davvero successo quella notte. Questo sospetto è rafforzato dal fatto che la Guardia Costiera ha confiscato i telefoni dei sopravvissuti contenenti video che avrebbero potuto far luce sugli eventi che hanno portato al rovesciamento e ha fornito informazioni imprecise e contrastanti sulla posizione e la velocità della nave delle persone migranti.

La catastrofica perdita di vite umane nel naufragio dell’ Adriana, che ha causato la morte di centinaia di persone, tra cui bambini innocenti, ha lasciato un segno indelebile. La risposta del governo greco, le successive indagini e le accuse contro i “9 di Pylos” hanno smascherato la sistematica criminalizzazione delle persone migranti in Grecia, che passa attraverso la persecuzione della figura dello “scafista”.

Questa figura è spesso sfruttata dalle forze politiche come capro espiatorio per eludere le responsabilità dello Stato, che ignora le proprie responsabilità in base agli obblighi internazionali e ai diritti umani, e preferisce fare morti di stato alle frontiere piuttosto che creare vie migratorie legali e sicure. Inoltre, l’impunità che circonda le azioni della Guardia costiera greca, ora esposta su scala internazionale, ha ulteriormente evidenziato la complicità del Paese nel violare il diritto all’asilo. Non solo la Guardia Costiera non è intervenuta per evitare la tragedia, ma ha attivamente contribuito alle azioni che hanno portato al rovesciamento dell’imbarcazione.

In Grecia, la criminalizzazione dello scafista non è una novità ed è ampiamente documentata. Secondo un rapporto di Borderline Europe 5, gli arresti con l’accusa di “contrabbando” dopo ogni sbarco o attraversamento di frontiera sono diventati una pratica di routine da quando l’Agenda dell’UE sulla migrazione del 2015 ha elevato la “lotta al traffico di esseri umani” a obiettivo primario.

Il rapporto, che esamina sia il quadro giuridico esistente che la sua attuazione pratica, sostiene che queste politiche non solo non salvaguardino i diritti di chi chiede asilo, ma li sottopongono attivamente a pene severe, tra cui lunghi periodi di detenzione, semplicemente per aver attraversato il confine in barca o in auto. A febbraio 2023, il numero di persone detenute nelle carceri greche con l’accusa di essere scafista o trafficante era di 2.154, pari al 20% della popolazione carceraria totale e rappresentando il secondo gruppo demografico più numeroso tra le persone detenute per reati penali in Grecia.

È prassi comune delle autorità di polizia avviare indagini a ogni arrivo di imbarcazioni o veicoli che trasportano migranti, allo scopo di identificare il presunto “scafista“. Anche i passeggeri possono essere sottoposti a interrogatorio, soprattutto nei casi in cui l’identità del conducente non sia immediatamente evidente. Tuttavia, questi interrogatori si concentrano prevalentemente sulla identificazione dello scafista, spesso trascurando la conoscenza da parte del passeggero del suo ruolo effettivo o del suo rapporto con i chi è stato pagato per consentire il viaggio. Spesso questi interrogatori avvengono subito dopo i naufragi, quando i sopravvissuti sono spesso in stato di shock e trauma, a dimostrazione di quanto la priorità delle autorità sia quella di trovare un colpevole il prima possibile.

In questo contesto, la decisione del Tribunale sui 9 di Pylos ha un valore politico e giudiziario significativo, nonostante non affronti il merito delle accuse di traffico di esseri umani. Secondo Spyros, l’archiviazione del caso, basata sul riconoscimento da parte del tribunale della propria mancanza di giurisdizione – fatto evidente fin dall’inizio – rivela la natura vendicativa della detenzione per 11 mesi di queste persone.

La decisione evidenzia come i 9 di Pylos siano stati usati dal governo greco come capro espiatorio della tragedia, per distogliere la colpa del naufragio dalle autorità greche e spostare l’attenzione dell’opinione pubblica altrove. «Per noi della campagna Free Pylos 9, questa è una vittoria perché convalida ciò che abbiamo sempre saputo», ha dichiarato Spyros. «Volevamo che l’opinione pubblica vedesse quanto sia politicizzato e strumentalizzato il sistema giudiziario greco, privo di indipendenza e volto a criminalizzare le persone in movimento».

Secondo Spyros, la decisione è fondamentale anche perché contribuisce a creare una giurisprudenza per casi futuri simili. «Non si tratta di un caso isolato: molte persone sono già state condannate in circostanze simili. Questa sentenza contribuisce al crescente numero di casi in cui le accuse vengono ritirate anziché sfociare in condanne».

L’aspetto più significativo della decisione non è il verdetto in sé, ma piuttosto le implicazioni per ulteriori indagini. «Crediamo fermamente che il tribunale navale abbia ritardato le indagini preliminari, prevedendo che il tribunale di Kalamata avrebbe dichiarato gli accusati colpevoli del naufragio, annullando così la necessità di ulteriori indagini». Secondo Spyros, questa decisione obbliga ora il tribunale a indagare ulteriormente, in particolare sulle responsabilità della Guardia costiera greca. Questo obbligo è ulteriormente rafforzato dalla grande attenzione internazionale che il caso ha suscitato, che offre l’opportunità di fare pressione sul governo greco affinché indaghi sulle azioni dei funzionari della Guardia Costiera. Si spera che questo costituisca un precedente, scoraggiando comportamenti simili da parte degli ufficiali in futuro.

In conclusione, criminalizzando le persone per il solo fatto di attraversare le frontiere, la Grecia sta fallendo nel rispettare gli obblighi del diritto internazionale e il diritto umano a richiedere asilo 6. Queste politiche prendono di mira le persone migranti, sottoponendole a violazioni sistematiche dei loro diritti da parte delle autorità statali, dal momento in cui vengono identificati come coloro che hanno facilitato l’attraversamento delle frontiere.

In assenza di alternative sicure, gli individui in cerca di protezione sono costretti a intraprendere pericolosi viaggi in barca o in auto per raggiungere l’Europa. Mentre alcuni assumono questi ruoli volontariamente, altri lo fanno per necessità economiche o per coercizione. Nonostante questa complessità, le autorità greche arrestano e incriminano abitualmente coloro che hanno guidato veicoli che trasportavano migranti, esacerbando la criminalizzazione della migrazione. In questo contesto, e alla luce di quanto discusso, risulta evidente che l’incidente di Pylos non è stato un incidente, ma piuttosto il risultato di sistematiche violazioni dei diritti umani da parte delle autorità greche, comprese le violente pratiche di respingimento.

Bibliografia

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Amnesty International. (2024, May 22). Greece: Trial of Pylos shipwreck survivors must not be a shield in the investigation of the alleged responsibilities of the Greek authorities’

Lighthouse Reports. Drowning in Lies. Greece tries to cover up its own role in the Pylos shipwreck by tampering with evidence.

Autin, A. (2023a, December 13). In their words: Pylos survivors speak up for justice. Human Rights Watch.

Borderline Europe. (2023). A Legal Vacuum: The Systematic Criminalization Of Migrants For Driving a Boat or a Car To Greece. In TheGreens/EFA.

Fassini, D. (2023, June 19). Il video di Frontex e quel barcone stracarico in balia del mare. Avvenire.

Information after the shipwreck near Pylos of 14 June 2023 – Alarm Phone. (2023, June 22). Alarm Phone.

Lavelle, M., & Yeler, V. (2024, February 12). Egyptians accused in Pylos shipwreck case deny smuggling, blame Greece. Al Jazeera.

Libertà per i nove incarcerati come capri espiatori per la strage di Pylos (Grecia). (n.d.-a). Progetto Melting Pot Europa.

nawal soufi on Twitter. (n.d.). Twitter.

Pylos Shipwreck: Timeline and archive of a tragedy that could have been avoided. (2023, July 27). Refugee Support Aegean.

Refugee Support Aegean. (2023). Registration of asylum applications in the  new mainland RIC in Greece. In RSA.

The nine accused of the Pylos shipwreck acquitted based on the lack of jurisdiction of Greek courts. (2024, May 21). Legal Centre Lesvos.

Welsford, K. (2023, August 7). Imprisonment Rather Than Protection: Pylos Survivors Detained in Greece – Global Detention Project | Mapping immigration detention around the worldGlobal Detention Project | Mapping Immigration Detention Around the World.

Υπουργείο Μετανάστευσης και Ασύλου. (2023, December 9). ΚοινήΥπουργικήΑπόφαση, αριθμός 778, ΦΕΚΒ’ 317 | ΥπουργείοΜετανάστευσηςκαιΑσύλου. Υπουργείο Μετανάστευσης Και Ασύλου.

  1. Secondo l’articolo 1-λγ del Codice dell’asilo, i seguenti gruppi sono considerati gruppi vulnerabili: bambini; bambini non accompagnati; parenti diretti di vittime di naufragi (genitori, fratelli, figli, mariti/mogli); disabili; anziani; donne incinte; genitori single con figli minori; vittime della tratta di esseri umani; persone con gravi malattie; persone con disabilità cognitive o mentali e vittime di torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale, come le vittime di mutilazioni genitali femminili
  2. Greek shipwreck: hi-tech investigation suggests coastguard responsible for sinking – The Guardian (luglio 2023)
  3. Vai all’inchiesta
  4. L’inchiesta The Pylos Shipwreck
  5. Study: A legal vacuum – the systematic criminalisation of migrants for driving a boat or car to Greece
  6. Come il “Protocollo contro il traffico di migranti per via terrestre, marittima e aerea” delle Nazioni Unite, e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che proibisce di penalizzare i richiedenti asilo per l’ingresso non autorizzato

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